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LA NOTTE DEL MARACANAZO

Immaginate il 16 luglio 1950: lo stadio Maracanã di Rio è un mare di gialloverde, con 173.850 persone sugli spalti pronte a esplodere di gioia per il primo titolo mondiale brasiliano. Il Brasile, padrone di casa, ha già superato Spagna e Svezia nel mini-girone finale e gli basta anche solo un pareggio per alzare la Coppa.

All’inizio sembra una formalità: il primo tempo scorre senza troppi sussulti e, a un passo dall’intervallo, tutti sono convinti che basterà gestire il pallone. Invece, a metà ripresa, Friaça sbuca sul filo del fuorigioco e batte il portiere, 1-0 Invitante… ma niente è scontato. Al 66′ Juan Alberto Schiaffino infila l’1-1 con un inserimento da manuale, e l’urlo dei tifosi si trasforma in un brivido di incertezza. Quando sembra finita, ecco il killer-instinct di Alcides Ghiggia: al 79′ salta Bigode sulla fascia e con un diagonale chirurgico lascia Barbosa di pietra, 2-1 Uruguay e Maracanazo servito.

Dopo quel gol cala un silenzio irreale: lo stadio più grande del mondo, pieno fino all’inverosimile, resta immobile, incredulo, mentre l’Uruguay può già festeggiare il secondo titolo a sorpresa. Per il Brasile è un colpo durissimo, un dramma collettivo che fa il giro delle case, dei bar e delle pagine sportive come monito sull’imprevedibilità del calcio.

Nei giorni seguenti, i giornali dedicano pagine e pagine al lutto calcistico: editoriali che parlano di “shok nazionale”, servizi fotografici di spalti deserti e commenti durissimi sulla Seleção. Persino il presidente brasiliano invia un messaggio di solidarietà, riconoscendo che “lo sport può ferire nel profondo”.

Eppure, da quel 2-1 devastante nacque la Seleção che tutti amiamo: un mix di stile e concentrazione che poi prese forma nella “futebol arte” dei Mondiali ’58, ’62 e ’70. Ma ogni volta che si parla di orgoglio brasiliano, qualcuno ricorda che la più grande sconfitta di sempre è andata in scena proprio qui, al Maracanã, la notte del Maracanazo.