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WHY NOT US?

Nel luglio 2015, nessuno avrebbe scommesso sul Leicester City. Retrocesso pochi anni prima, con un budget tra i più bassi della Premier, era dato per favorito alla retrocessione già a settembre. Ma Claudio Ranieri, fresco di nomina come “King Claudio” (nomignolo nato quasi per scherzo), portò con sé un’idea semplice: giocare “da Leicester”. Difesa compatta, ripartenze fulminee, spirito di squadra al di sopra di ogni singolo talento.


A guidare l’attacco c’era Jamie Vardy, ex operaio di fabbrica, dal carattere schivo e dal tiro poderoso. Nella tana del Kings Power Stadium, Vardy sembrava un fulmine a ciel sereno: il suo record di gol consecutivi (11 giornate di fila segnando) mandò in estasi tifosi e neutral fino a farlo diventare la spina nel fianco delle difese d’Europa. Al suo fianco, l’estro di Riyad Mahrez, ala algerina capace di dribbling ubriacanti e tiri a giro degni di un artista.

In un campionato dominato da giganti come Chelsea, Manchester City e Arsenal, il Leicester volava sulle ali dell’incredulità. Ogni domenica, il pubblico di Foxes ripeteva lo stesso mantra: “Why not us?”, ispirato da un Ranieri che con umiltà e umorismo ricompattava il gruppo dopo ogni gara. La vittoria sul Manchester City fu la conferma: quel Leicester non era una meteora, ma un ciclone pronto a travolgere le certezze dei più ricchi.


Arrivò febbraio, e il Leicester aveva già l’opportunità di allungare in classifica. I titoli di testa dei tabloid inglesi switcharono da “Relegation Favourites” a “Title Contenders”. Ma la pressione cresceva: ogni passo falso poteva far sprofondare la squadra nella realtà. Ranieri lavorò sulla testa dei giocatori, ricordando loro il valore del collettivo, della fiducia reciproca. E ogni volta che Vardy pungeva con un contropiede micidiale, Mahrez dipingeva calcio di pura magia, era la conferma che il sogno non era un’illusione.


La matematica incoronazione avvenne a Stamford Bridge, contro il Chelsea in casa loro. Il fischio finale fu un boato da stadio di corsa: esultanze che traboccarono in lacrime di gioia, tifosi in festa tra fumogeni e cori, persino lo stesso Ranieri, solitamente composto, venne circondato da abbracci di giocatori e dirigenti. Il piccolo Leicester, con un investimento di poco più di 60 milioni di sterline per tutta la rosa, aveva vinto la Premier League, superando squadroni multimiliardari.


Quel trionfo rimane oggi un insegnamento: nel calcio, più che i numeri sul contratto, spesso contano la visione tattica, l’autostima e lo spirito di gruppo. Il Leicester del 2016 ha ispirato club e tifosi in tutto il mondo a credere nel “possibile”, a non arrendersi quando le probabilità sembrano schiacciarci. E forse, più di ogni statistica, è rimasto il ricordo di una squadra che credeva nei sogni, anche quando tutti davano ormai per spacciati.