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16 Maggio 2004: l’addio al calcio di Roberto Baggio

Da quando Baggio non gioca più non è più domenica

Canta in maniera malinconica e innamorata Cesare Cremonini. Oggi non è domenica da 21 anni, da quel 16 maggio 2004, da quel Milan-Brescia che univa le feste per lo scudetto rossonero e per l’addio al calcio del giocatore italiano forse più amato di tutti i tempi, Roberto Baggio.

L’inizio tra Caldogno e Vicenza

Muove i suoi primi passi da calciatore nella squadra della sua città natale, il Caldogno, dove già si conquista l’etichetta del fuoriclasse. Qui conoscerà un infermiere, Antonio Trevisan, che lo raccomanda al Vicenza, all’epoca in C1, che in Baggio vede del talento anche se ha solo 13 anni e decide quindi di sborsare 500 mila lire.
Con le giovanili del Lane Rossi, Baggio fa il devasto: 110 gol in 120 presenze, follia. Esordisce in prima squadra a 16 anni, il primo gol tra i grandi arriverà l’anno seguente in Coppa Italia Serie C contro il Legnano e nell’84/85 aiuta il Vicenza a risalire in Serie B. Durante una delle ultime partite di quella vittoriosa stagione però, contro tra l’altro il Rimini di Arrigo Sacchi, Baggio subisce un grave infortunio al ginocchio destro, il primo dei tanti durante la sua carriera, tutto questo due giorni prima della firma che lo legherà alla Fiorentina, che deciderà comunque lo stesso di puntare sul futuro Divin Codino.
L’infortunio lo terrà fuori oltre un anno e porta Roberto a vivere una vera e propria crisi spirituale, che lo porta pian piano ad approfondire e a praticare il buddhismo.

Gli anni con la Fiorentina

L’inizio con la viola sarà lento, complice anche un secondo infortunio che ritarderà il suo utilizzo con frequenza. Il primo gol con la Fiorentina lo trova il 10 maggio del ’87, quasi due anni dopo il primo grave infortunio, su punizione contro il Napoli di Maradona.
Troverà continuità dalla stagione 87/88, di cui sarà la rivelazione del campionato con 9 reti in 34 partite. L’anno seguente a Firenze arriva Sven Goran Eriksson e Baggio esplode definitivamente, trascinando insieme al suo compagno di reparto Stefano Borgonovo i viola alla qualificazione in Coppa Uefa.

Coppa Uefa in cui l’anno seguente la Fiorentina, trainata da Baggio, raggiungerà la finale in cui affronterà, uscendo poi sconfitta, la Juventus. La finale di ritorno nel maggio del ’90 è l’ultima gara di Baggio con i colori viola, perché sempre in quel maggio Roberto viene acquistato proprio dalla Juventus.
I tifosi fiorentini sono in collera, non sopportano l’idea di vedere il loro calciatore più simbolico e forte indossare i colori bianconeri. Partono le contestazioni e arrivano fino a Coverciano, nel ritiro degli azzurri per il mondiale del ’90. Lo stesso Baggio è stato più volte riluttante all’idea di lasciare la sua amata Fiorentina per andare alla Juve, facendo capire che la sua cessione alla fine è stata una scelta societaria più che personale.
In Viola Roby trova appunto anche la Nazionale maggiore e disputa nel 1990 il suo primo Mondiale. È il Mondiale delle notti magiche di Italia ’90, in cui Baggio insieme a Totò Schillaci (che ritroverà poi alla Juve), protagonista assoluto di quel torneo, trascina l’Italia fino alle semifinali di Napoli, perse poi con l’Argentina di Maradona ai rigori.

Il periodo in bianconero

L’avventura con la Juve non inizia nel migliore dei modi, la Vecchia Signora infatti perde la Supercoppa Italiana contro il Napoli per 5 a 1, l’unica rete bianconera la segnerà proprio Baggio.

Durante la prima partita dell’ex contro la Fiorentina, Baggio si rifiuterà di calciare un rigore e quando venne sostituito raccolse una sciarpa lanciatagli da qualche tifoso viola, segno di un amore che è forse finito troppo presto.
Il primo anno con Maifredi alla Juve Baggio realizzerà comunque 27 gol tra campionato e Coppa delle Coppe.

Nella stagione successiva torna alla Juve Trapattoni con cui Baggio, nonostante alcuni piccoli screzi e qualche infortunio, crescerà di rendimento, tanto che nel 92/93 riesce a vincere il suo primo trofeo: una Coppa Uefa.
A fine ’93 il Divin Codino vince il Pallone d’Oro e nell’estate del ’94 forse tocca l’apice della sua carriera, per lo meno con la maglia della Nazionale.

USA ’94

Nel Mondiale di USA ’94, Roby parte in sordina, non eccellendo nelle prime tre gare e risultando una delle delusioni del torneo, tanto che nella seconda partita contro la Norvegia viene sostituito da Sacchi per far spazio al secondo portiere Marchegiani dopo l’espulsione di Pagliuca.


Agli ottavi inizia il vero mondiale di Baggio: contro la Nigeria campione d’Africa infatti, a due minuti dalla fine, con l’Italia sull’orlo dell’eliminazione, riceve palla da Roberto Mussi al limite dell’area. In un attimo, con la freddezza dei fuoriclasse, si coordina e lascia partire un destro rasoterra e preciso che si infila nell’angolo alla destra del portiere nigeriano Rufai e riaccende l’Italia: è 1-1. Poi, nel primo tempo supplementare, è ancora lui a prendersi la responsabilità. Dal dischetto trasforma con sicurezza il rigore del 2-1 e completa una rimonta che ha il suo nome stampato ovunque.


Ai quarti, contro la Spagna, ci pensa ancora Roby: su assist di Giuseppe Signori, nei minuti che precedono il fischio finale, si incunea tra le maglie rosse e segna il 2-1 che spedisce l’Italia in semifinale.
Contro la Bulgaria, nel caldo opprimente di un’estate americana, serve un’altra doppietta del numero 10 per portare gli azzurri in finale dopo dodici anni. Baggio arriva a quota cinque gol nel Mondiale e sembra muoversi su un piano inclinato verso la leggenda. Ma il destino è pronto a presentare il conto: un guaio muscolare lo costringe a stringere i denti e affrontare la finale menomato, con il peso di una nazione sulle spalle.


A Pasadena, davanti a quasi centomila spettatori e milioni di cuori in apnea, si gioca Italia-Brasile. Lo 0-0 regge per centoventi minuti. L’Italia tiene, resiste, ma non sfonda. E così, per la prima volta nella storia delle finali mondiali, si va ai rigori.
La serie è tesa, drammatica. Baresi sbaglia. Massaro sbaglia. Tocca a lui, a Roberto. È l’ultimo rigore, quello della speranza, o della fine. Parte con passo lento, lo sguardo basso, l’anima stanca. Calcia forte. Troppo. Il pallone si alza e vola oltre la traversa, sopra un’estate intera, sopra l’attesa di un popolo. Il Brasile è campione del mondo. Baggio abbassa la testa, le braccia lungo i fianchi. Nessuna sceneggiatura avrebbe osato tanto.


Ma da quel momento, nel tempo, è sbocciata una frase che oggi è tatuaggio su pelle e memoria:
I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli.”
E se è vero che gli eroi si misurano nel momento più difficile, allora anche quel tiro sbagliato racconta Baggio più di ogni gol. Perché il suo coraggio, nel calciare con un muscolo strappato, con il peso della finale, con l’eco dell’infinito alle spalle, è diventato simbolo di un’Italia che ha amato, perso e pianto con lui.
Quel pallone non è mai tornato giù. Ma neppure l’amore per chi ebbe il coraggio di scagliarlo verso il cielo.

Lo scudetto con la Juve e gli anni al Milan

Dopo USA ’94 alla Juve arriva Marcello Lippi con cui Baggio ha non pochi problemi d’adattamento, il tecnico di Viareggio imposta la squadra con un 4-3-3 schierando Roby ala, ruolo con cui non è mai andato troppo d’accordo. Nonostante i problemi con Lippi e vari altri infortuni, Baggio ritrova la condizione, segna gol pesanti vince il double: Scudetto e Coppa Italia.

A fine stagione non rinnova con la Juve per un mancato accordo economico con la società e si accasa da svincolato ai rivali del Milan, con cui al primo anno centrerà subito lo Scudetto, il secondo e ultimo della sua carriera.

Nella seconda stagione al Milan arriva Tabarez e Baggio esordisce in Champions League. L’avvio dei rossoneri non è dei migliori  tanto che il neo tecnico uruguagio si dimette a Dicembre e torna Arrigo Sacchi, con cui Roby non è mai andato troppo d’accordo.

Eppure, tra malumori e panchine, Baggio riesce comunque a lasciare un segno. Il 24 novembre 1996, nel derby contro l’Inter, supera Pagliuca con freddezza e apre le marcature in una sfida poi terminata 1-1. Un lampo di classe in un’annata grigia, segnata anche dalla concorrenza agguerrita di Simone, Savićević e Blomqvist, che spesso gli tolgono spazio.

Ma la sorpresa più grande arriva sul finire di aprile: a un anno e mezzo dall’ultima chiamata, il nuovo commissario tecnico azzurro, Cesare Maldini, lo richiama in nazionale. È un segnale forte, un riconoscimento che va oltre i minuti giocati: Baggio, pur relegato ai margini, resta un riferimento.

Il Milan, intanto, chiude la stagione all’undicesimo posto, lontano dall’Europa. Un epilogo amaro, che rispecchia la delusione di una squadra spenta e di un campione mai davvero integrato.

Nell’estate del 1997, Roberto si presenta al raduno con lo spirito di chi è pronto a ripartire. Ma il ritorno di Fabio Capello, freddo e deciso, spegne ogni speranza: non c’è spazio per lui nei piani tecnici. Sentendosi nuovamente escluso, quasi respinto, Baggio prende la sua decisione. Dopo 67 presenze e 19 reti in rossonero, lascia il Milan. Non con rancore, ma con la consapevolezza che per tornare a essere sé stesso, deve andare altrove.

L’annata a Bologna

Nel luglio 1997, Baggio sembra vicino al Parma, ma il tecnico Ancelotti lo scarta perché il suo 4-4-2 non prevede fantasisti, e Chiesa minaccia l’addio se arriva il Divin Codino. Anni dopo, Ancelotti si dirà pentito di quella scelta.

Per tornare in azzurro in vista del Mondiale 1998, Baggio accetta l’offerta del Bologna: il presidente Gazzoni Frascara lo accoglie con entusiasmo, meno l’allenatore Ulivieri. Nel contratto è inserita una clausola per liberarsi a fine stagione.

Il debutto arriva il 31 agosto con gol su rigore all’Atalanta. Sarà un’annata straordinaria: 22 gol in 30 partite, record personale, qualificazione all’Intertoto e convocazione al Mondiale. Ma non mancano tensioni: a gennaio, dopo l’ennesima esclusione, lascia il ritiro prima di una sfida con la Juve. I tifosi lo sostengono, chiedendo l’esonero di Ulivieri.

Baggio racconterà che il tecnico non accettò mai che fosse lui, e non l’allenatore, a prendersi le luci della ribalta. Nonostante tutto, quella stagione segna la sua vera rinascita.

Francia ’98: l’ultimo mondiale

Dopo la brillante stagione al Bologna, Roberto Baggio conquista una sofferta convocazione al Mondiale del 1998, superando la concorrenza di nomi come Casiraghi, Chiesa e Zola. Fino a un anno prima era solo una riserva per Cesare Maldini, ma il suo ritorno in forma cambia tutto.

Il dibattito ruota attorno alla sua convivenza con Del Piero, più giovane e più in sintonia con gli schemi del CT, ma reduce da un infortunio. Nella gara d’esordio contro il Cile, Baggio parte titolare accanto a Vieri: serve l’assist per l’1-0 e poi trasforma il rigore del definitivo 2-2.

Anche nella seconda partita, contro il Camerun, è ancora titolare: serve l’assist per Di Biagio e viene poi sostituito da Del Piero, nella prima di una serie di staffette. Contro l’Austria, entra invece a gara in corso e sigla il gol del 2-0.

Non gioca contro la Norvegia agli ottavi, ma torna nei quarti contro la Francia, subentrando a Del Piero. Ai supplementari sfiora il golden goal con un destro al volo che esce di poco. Ai rigori segna il primo tentativo dell’Italia, ma gli errori di Albertini e Di Biagio condannano gli azzurri all’eliminazione. Chiude il torneo con 2 gol e un record: è l’unico italiano ad aver segnato in tre Mondiali consecutivi e raggiunge Paolo Rossi (poi Vieri) a quota 9 reti nei tornei iridati. Un ultimo lampo di classe, lucidità e coraggio.

Il biennio Interista

Nell’estate del 1998, il divin codino approda all’Inter per circa 3,5 miliardi di lire. I nerazzurri sono reduci da un secondo posto in campionato e puntano con decisione allo scudetto, potendo contare su un attacco stellare composto dal Pallone d’Oro Ronaldo, Iván Zamorano e Youri Djorkaeff. L’esordio è promettente: il 12 agosto, nel preliminare di Champions contro lo Skonto Riga, Baggio firma un gol e serve tre assist nel 4-0 finale. Nei primi mesi offre buone prestazioni, nonostante le ginocchia inizino a limitarne la continuità. Il 25 novembre, nella notte forse più memorabile della sua avventura interista, segna una doppietta contro il Real Madrid campione in carica, regalando all’Inter una vittoria per 3-1 e il passaggio del turno.

Ma quell’exploit coincide paradossalmente con l’inizio della crisi. A pochi giorni da quella vittoria, il tecnico Luigi Simoni – suo grande estimatore – viene esonerato. Da lì, la stagione precipita: la squadra si smarrisce tra cambi in panchina (Lucescu, Castellini, Hodgson), risultati deludenti e un gruppo disunito. “Se non avessimo vinto 5-4 a Roma saremmo finiti in B. Non c’era più una squadra”, ricorderà Baggio. L’Inter chiude ottava e manca la qualificazione alle coppe, perdendo anche lo spareggio UEFA contro il Bologna nonostante un suo gol.

Nel 1999-2000 arriva Marcello Lippi, che non ha fiducia in lui. Le presenze calano drasticamente e il fantasista finisce spesso fuori per scelta tecnica. Baggio smentisce le voci su presunti problemi fisici, parlando apertamente di esclusioni ingiustificate. Solo a gennaio arriva il primo gol stagionale. Ma nel finale, quando tutto sembra finito, scrive una delle ultime grandi pagine della sua carriera interista: all’ultima giornata segna su rigore contro il Cagliari, costringendo lo spareggio col Parma. E proprio in quello spareggio, il 23 maggio 2000, segna due splendide reti e regala all’Inter l’accesso ai preliminari di Champions League.

Gli ultimi anni al Brescia con Mazzone

Dopo aver lasciato l’Inter, Roberto Baggio si ritrova nell’estate del 2000 in una situazione inedita: disoccupato, in attesa di una nuova squadra, eppure con un solo obiettivo chiaro nella mente: partecipare ai Mondiali del 2002. Il 14 settembre firma con il Brescia, club di cui diventa immediatamente capitano, portando con sé la sua esperienza e il carisma. Il contratto è particolare: se il presidente Luigi Corioni avesse esonerato l’allenatore Carlo Mazzone, Baggio sarebbe stato liberato. Ma per fortuna, la fiducia resta salda.

Il suo debutto con il Brescia arriva pochi giorni dopo, il 16 settembre 2000, in Coppa Italia contro la Juventus, un pareggio a reti inviolate che non svela tutta la qualità che il Divin Codino saprà offrire. Nel campionato successivo, Baggio sblocca il suo bottino di reti il 24 febbraio 2001 contro la Fiorentina, e uno dei momenti più memorabili arriva il 1º aprile, quando, contro la Juventus, segna un gol spettacolare servito da un preciso lancio di Andrea Pirlo: superato il portiere van der Sar con una magia di stop e dribbling, insacca e fissa l’1-1 finale, risultato che allontana la Juventus dalla vetta, dominata fino a quel momento dalla Roma.

Con 10 gol portati in stagione, Baggio guida il Brescia all’ottavo posto in Serie A, un risultato storico per la squadra lombarda, che si qualifica per la Coppa Intertoto. Sebbene perda la finale contro il Paris Saint-Germain, quel traguardo è già un successo clamoroso. Non solo: Baggio è inserito tra i 50 candidati al Pallone d’Oro 2001, dove si piazza al 25º posto, a dimostrazione che la sua classe resta indiscussa.

La stagione 2001-2002 inizia nel segno del Divin Codino, che si trova capocannoniere dopo sette giornate con 8 gol. Ma la fortuna volta le spalle a Baggio: il 21 ottobre 2001 una distorsione al ginocchio sinistro segna l’inizio di una lunga serie di infortuni, culminati nella rottura del legamento crociato anteriore e la lesione del menisco. Operato il 4 febbraio 2002, Baggio lotta con determinazione, rientrando a fine aprile con due gol decisivi contro la Fiorentina e un altro contro il Bologna che aiuta a salvare il Brescia dalla retrocessione.

Nonostante questa prova di forza e talento, Giovanni Trapattoni, commissario tecnico della Nazionale, decide di non convocarlo per i Mondiali del 2002. Una decisione difficile da digerire per Baggio, che ancora dopo vent’anni la definisce un «tradimento». La speranza di vestire ancora una volta la maglia azzurra svanisce, lasciando un velo di amarezza nella sua grande carriera.

Nei successivi due anni Baggio resta il leader del Brescia, segnando il gol numero 300 in carriera e portando la squadra a nuove qualificazioni europee, tra cui un’altra partecipazione alla Coppa Intertoto. Nel dicembre 2003 annuncia il ritiro, ma prima di appendere le scarpette al chiodo, nel marzo 2004 raggiunge un traguardo storico: la 200ª rete in Serie A, entrando nella leggenda tra i pochi a superare questo record.

Il 16 maggio 2004, a 37 anni, gioca la sua ultima partita professionistica a San Siro, in un Milan-Brescia. Prima di uscire dal campo, regala un ultimo assist a Matuzalém, un gesto d’altruismo e classe che sintetizza il suo stile di gioco. Quando lascia il terreno di gioco, viene abbracciato da Paolo Maldini e accolto da una standing ovation che vibra per minuti, un commiato caloroso e sincero da parte del pubblico milanese.

San Siro, quel tempio sacro del calcio italiano, diventa così la cornice perfetta per l’ultimo atto di una carriera costellata di magie, sfide e conquiste. In quel momento, tra applausi e lacrime, Roberto Baggio si congeda dal calcio che l’ha reso immortale, lasciando un’eredità di poesia e passione che continuerà a risuonare nell’anima di chi ama il gioco più bello del mondo.